[trad. it. di E. Ferrero, Voland, Roma 2012]
A pochi mesi dall’edizione Seuil, uscita a marzo 2012 per il trentennale della morte di Georges Perec, Voland ha pubblicato in Italia Il Condottiero, romanzo giovanile finora inedito e a lungo considerato smarrito. La postfazione di Claude Burgelin fa luce sulle circostanze romanzesche del suo ritrovamento. Composto a partire dal 1957, il testo è sottoposto a Gallimard che in principio lo accetta e quindi lo rifiuta definitivamente nel dicembre del 1960. Nel 1966 a seguito di un trasloco il dattiloscritto è perduto da Perec insieme ad altri scritti giovanili, ma alcune copie vengono fortunosamente reperite negli anni ’90 da David Bellos, suo biografo e traduttore inglese.
Curiosamente, quello che Perec considerava il suo “primo romanzo compiuto” e in cui riponeva serie speranze di successo è la storia di un fallimento. Gaspard Winckler è un esperto falsario che da 12 anni opera per conto di un’organizzazione il cui vertice è Anatole Madera. Da oltre un anno è alle prese con l’ultimo e più importante lavoro commissionatogli, un quadro del Rinascimento per il quale ha scelto di rifarsi al Condottiero dipinto da Antonello da Messina nel 1475. La sfida alla realizzazione di un falso Condottiero assume però connotazioni che esulano dalla mera riproduzione tecnica. Gaspard non mira solo a eguagliare la perfezione formale di Antonello, ma alla «creazione autentica di un capolavoro del passato» (p. 30), alla riesumazione del milieu storico-culturale che nell’arte ha la sua sintesi, a una simbiosi totale tra realtà e rappresentazione. Il comandante dei mercenari di Antonello incarna inoltre l’antitesi ideale del protagonista. Con il suo sguardo sicuro e trionfante egli è il «ritratto della serenità, della forza, dell’equilibrio, della padronanza del mondo» (p. 80) mentre Gaspard percepisce con crescente consapevolezza la propria viltà e ipocrisia, l’estraneità di una vita vissuta per inerzia. Ormai prossimo al compimento dell’opera, Gaspard avverte l’insostenibile inadeguatezza del suo Condottiero e non può più terminarlo. È l’agnizione di un fallimento esistenziale. All’apice della disperazione, cerca il riscatto nell’unico gesto veramente creativo e liberatorio. La mano che impugnava il pennello brandisce un rasoio e cala sul collo inerme di Anatole Madera.
Fin dall’incipit («Madera era pesante») il lettore è posto di fronte al delitto appena commesso. Sorpreso mentre trascina il cadavere per le scale, Gaspard si barrica nel suo laboratorio sotterraneo. La sola possibilità di fuga è scavare un tunnel verso l’esterno prima che da fuori riescano a forzare l’ingresso. Nelle ore di concitazione che seguono l’omicidio, il sovrapporsi dei pensieri è reso in un monologo interiore a tre voci che alterna paragrafi in prima, seconda e terza persona. Con l’evasione dal laboratorio, nella seconda metà del libro il monologo si riversa in dialogo. L’interlocutore, Streten, figura anonima che offre riparo al protagonista, è più funzione fàtica che personaggio. In un procedimento a metà tra l’interrogatorio e la seduta di psicanalisi, lascia che Gaspard ricostruisca gli eventi, interviene con domande a forzarne le reticenze e guida la confessione verso il suo esito terapeutico.
«A cosa serve una coscienza?» è la domanda che percorre questo poliziesco in cui si intrecciano riflessioni etiche ed estetiche e nel quale si individuano facilmente, in fase germinale, molte delle tematiche della successiva produzione di Perec. Basti ricordare la presenza dell’alter ego Gaspard Winckler ancora in W ou le souvenir d’enfance e La Vie mode d’emploi. O il tema del falso che ne abbraccia tutto il progetto letterario e lo chiude circolarmente proprio nell’ultimo romanzo pubblicato in vita, Un Cabinet d’amateur. Il Condottiero, prova giovanile non priva di vizi e imperfezioni, ma greve di contenuti pronti ad esplodere, è allora già un testo imprescindibile per una comprensione completa del suo autore.
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